Feroggia

Geografia

La Baronia di Feroggia si estende nel cuore meridionale della Penisola, nel Ducato della Marca, là dove le ultime propaggini dei Monti Unaidi degradano verso le grandi pianure ventose del sud. È una terra di confine e di contrasti, divisa tra le alture brulle del massiccio del Gargante e la vasta piana fertile che si apre a sud-est, incisa da torrenti stagionali e da antichi canali di irrigazione.

A nord la Baronia confina con Valdicastro, e ne condivide i rilievi e la severità del paesaggio; a ovest le colline si alzano verso le terre di Navelin e Bonus Aere, nel Ducato di Ilopan, mentre a sud la pianura si apre verso il Ducato del Tacco, confinando con Demetria e Barium. Questa posizione liminale ha fatto di Feroggia una terra di passaggio tra le diverse anime del meridione elaviano, crocevia di pellegrini, eserciti e mercanti, ma anche bersaglio di invasioni e contese.

La capitale, Feroggia, sorge al centro della grande piana omonima, su un lieve rialzo naturale che la protegge dalle inondazioni stagionali. Le sue mura ampie e basse circondano un tessuto urbano compatto e regolare, che tradisce il suo remoto passato da accampamento militare. Il Tempio di Galtea, annesso alla Biblioteca Sotterranea, costituisce il cuore spirituale della città: da qui i Custodi del Tomo amministrano le cronache dei defunti e conservano i testi scritti con l’inchiostro misto alle ceneri consacrate, secondo il rito feroggiano della Memoria. Le strade principali convergono nella Piazza dei Giuramenti, dove sorge il Palazzo Baronale, e da cui si dipartono le vie dirette verso Severia e il confine meridionale. L’atmosfera della città è austera e riflessiva: le campane di Acron e i cori notturni di Galtea si alternano nell’aria umida, fondendo fede e studio in un’unica voce.

A nord-est della capitale, ai piedi dei Monti Unaidi, si trova Severia, antica cittadella fortificata e centro religioso della Baronia. La città è dominata dal Tempio Maggiore di Acron, eretto sui resti di una necropoli unaide e oggi riconosciuto come uno dei tre santuari supremi del dio della Morte. Le sue catacombe si estendono per chilometri sotto l’abitato, diramandosi in cunicoli e cripte che, secondo la tradizione, non sono mai state esplorate completamente: i livelli più antichi risalirebbero all’epoca stessa dell’Impero Shuel.
A oriente, al largo della costa feroggiana, si scorgono le Isole del Silenzio, un piccolo arcipelago di scogli e isolotti spazzati dal vento. Le loro coste aspre e brulle, quasi prive di vegetazione, ospitano solo rovine di torri e approdi dimenticati. In epoche antiche furono rifugio di contrabbandieri, pirati e ribelli che sfuggivano alla giustizia baronale, e le loro grotte servirono per secoli da nascondiglio per merci proibite, reliquie rubate e fuggiaschi.
Oggi le isole sono disabitate, ma i pescatori che vi si avventurano giurano di udire, nelle notti di tempesta, il suono di campane provenire dal mare e di scorgere, sulle scogliere, luci tremolanti che si spengono all’alba.

Feroggia è una delle province agricole più vaste e produttive dell’intero sud elaviano. Le sue pianure, un tempo percorse da immense greggi, furono per secoli dominio di pastori e mandrie itineranti: ancora oggi, presso il crocevia di Severia, si trova la Dogana delle Pecore, antico edificio baronale dove viene riscossa la tassa sul passaggio delle greggi tra le montagne e la piana. Con il progressivo diradarsi della pastorizia, la Baronia ha riconvertito le sue campagne alla coltivazione intensiva: la Piana di Feroggia è oggi una distesa di campi di grano, orzo e lino che si perdono a vista d’occhio, alternati a fertili orti irrigati dai canali. Da qui proviene una parte significativa dei cereali e degli ortaggi che riforniscono i mercati di mezza Elavia, rendendo la Baronia uno dei granaï più importanti del Regno.

Il clima è secco e ventoso, con estati lunghe e assolate e inverni brevi ma rigidi. La nebbia s’innalza dalle valli nei mesi freddi, avvolgendo la pianura in un silenzio lattiginoso, mentre nei mesi più caldi il vento del Gargante spira costante, piegando le spighe come onde dorate. Nelle zone più alte dei Monti Unaidi, piccole comunità di pastori e minatori vivono ancora secondo antiche usanze unaidi, mantenendo un legame primordiale con la terra e con i culti ancestrali della montagna.

Araldica

D’argento, alla montagna di nero movente da una pianura di verde, caricata di una spiga d’oro posta in palo e affiancata da due falci incrociate d’argento, il tutto sormontato da una stella azzurra a otto punte.

Storia

Le origini di Feroggia affondano in un’epoca anteriore all’Impero Shuel, quando le vaste pianure e le alture meridionali erano abitate dal popolo degli Unaidi, antiche genti guerriere considerate dagli storici elaviani i discendenti dei barbari del Nord, che in epoca remota si contrapposero ai Medii della Mezzaterra. Vivevano di caccia e pastorizia sui monti che oggi portano il loro nome. Le tribù unaidi non costruivano città, ma villaggi fortificati in pietra e legno, nascosti tra le valli e i boschi dei Monti Unaidi e delle alture del massiccio del Gargante.

Quando l’Impero Shuel iniziò la sua espansione nella penisola, le terre di Feroggia opposero una resistenza lunga e disperata: le città della pianura furono abbandonate al nemico, ma gli Unaidi si ritirarono nei monti, continuando per secoli una guerra di resistenza che fece guadagnare al territorio il nome di Valli dei Feroci. Gli Shuel riuscirono a occupare la costa e le vie principali, ma non piegarono mai del tutto i ribelli delle alture, che crearono insediamenti mobili e nascosti nelle fenditure dei monti.

Quando gli Shuel catturavano bande di guerrieri unaidi o riuscivano a stringere d’assedio un clan fino a impedirne la fuga, ogni individuo veniva ucciso o destinato alla creazione dei Lherara: nessuno veniva fatto schiavo, tanto era il timore che l’Impero nutriva verso quei guerrieri. Intere generazioni di Unaidi nacquero, combatterono e morirono nell’odio per gli Shuel.

Con la caduta dell’Impero e l’avvento dei Regni Liberi, Feroggia scelse l’isolamento.
La pianura si spopolò, mentre lungo la costa e nelle valli interne approdarono genti provenienti da Gravia e da Atlas. Questi nuovi arrivati fondarono piccoli insediamenti e porti dalla tipica architettura fatta di edifici bassi costruiti in pietra bianca che, visti da lontano, scintillano alla luce del sole. I coloni si integrarono lentamente con gli Unaidi superstiti, vincendone la diffidenza: da questo incontro nacque il carattere ibrido e indomito del popolo feroggiano, capace di fondere l’asprezza montana con la sapienza marinara e mercantile dei popoli del sud-est.

Quando, nell’888 P.B., l’Impero Teutone calò in Elavia, Feroggia fu colta di sorpresa.
Priva di un esercito stabile e incapace di difendere le sue pianure, scelse ancora una volta la via della montagna: i guerrieri abbandonarono città e villaggi e si rifugiarono nei monti dei loro antenati, dove continuarono la lotta con una guerriglia silenziosa ma incessante, infliggendo perdite costanti agli occupanti. Le leggende locali narrano che, durante la presa di Severia, interi plotoni teutoni scomparvero nelle gole e non furono mai più ritrovati.
L’Impero Teutone prevalse, ma — come gli Shuel secoli prima — fu piagato per tutto il tempo dell’occupazione dalla resistenza dei feroggiani.

Solo dopo la liberazione dai Teutoni, Feroggia tornò a far parte a pieno titolo del mondo civilizzato.
Il barone di allora, Eron di Severia, ultimo capoclan superstite degli Unaidi, giurò fedeltà al Granducato della Rocca, che garantì la ricostruzione delle città e la riapertura delle vie di commercio.
Fu in quest’epoca che sorsero i templi dedicati ad Acron e Galtea, rifondando la spiritualità della baronia sul culto della memoria, della conoscenza e del trapasso.
Il Tempio di Acron di Severia, eretto sui resti di un’antica necropoli unaide, divenne uno dei tre santuari maggiori del dio, e le sue catacombe, ancora oggi in uso, si dice si estendano per chilometri sotto la Baronia, diramandosi in ogni direzione e nascondendo secoli di segreti, con tombe scavate in profondità che risalgono ai capiguerra che si opposero agli Shuel stessi.
Parallelamente, a Feroggia venne fondata una biblioteca sotterranea della Chiesa di Galtea, custode delle cronache dei defunti e dei volumi scritti con inchiostro misto a ceneri consacrate.

Dopo l’Apocalisse, Feroggia trovò un nuovo destino all’interno del Regno del Grifone, di cui divenne baluardo meridionale e sede di un circolo rituale profondo, nonché della più importante cattedrale di Acron dell’intera penisola.
Quando il Grifone confluirà infine nel Regno di Elavia, nel 1123 P.B., la Baronia di Feroggia verrà riconosciuta come Custode delle Porte del Sud, simbolo di una tenacia antica quanto i suoi monti.

Ancora oggi, chi attraversa le pianure del sud al tramonto racconta che il vento dei Monti Unaidi porti con sé il mormorio dei loro antichi guerrieri: per questo, Feroggia è ricordata come la Terra che non si piega.

Altre informazioni

Capitale: Feroggia
Popolazione: 57.542 abitanti (92% umani, 6% amegrin, 2% altro)
Estensione: 7.008 kmq.

Tra i contrafforti del massiccio del Gargante, sopra una gola che i viandanti chiamano la Fenditura Bianca, sorge il borgo di Casalrupe del Giuramento, fondato — secondo la tradizione — dai superstiti dei clan unaidi che si opposero per ultimi agli Shuel.

Si racconta che qui, la notte prima della disfatta, venti capiguerra giurarono davanti agli dèi che nessun figlio di Feroggia avrebbe mai più servito uno straniero, né in vita né nella morte.

Il dio della Morte Roun udì il loro voto e donò loro una fiamma inestinguibile, gelida come l’inverno, eterna come la Morte stessa.
Quando all’alba le legioni imperiali cinsero d’assedio il passo, trovarono gli Unaidi armati del fuoco sacro, e vennero respinti dopo una battaglia che le cronache definiscono la Notte Bianca del Gargante. Al termine dello scontro, i capi unaidi scomparvero, e nessuno li vide mai più.
La leggenda di Casalrupe vuole che il fuoco acceso dai venti capi non si sia mai spento, e che ancora oggi arda, custodito da qualche parte nelle profondità del Gargante.

I sacerdoti locali di Acron commemorano questa storia accendendo, ogni inverno, una fiamma azzurra nella grotta di Rupetor, a poca distanza dal borgo: essa viene lasciata ardere fino al ritorno della primavera, quando Acron allenta la sua stretta sulle terre dei mortali.

Governatore Viridia Malaspada